Una volta che è tornato a Erba – lui, infatti, ogni tanto tornava a casa – un amico gli disse: ‘Caspita, a te fa ul gir dal mund’. Lui, Renato Magni, classe 1924, erbese, rispose: ‘E’ da tanto che viaggio per il mondo. Penso che il giro lo abbia fatto un paio di volte. E magari lo farò ancora’.
Renato Magni è stato uno dei ‘comaschi nel mondo’. Ha trascorso oltre due terzi della sua avventurosa vita in Svizzera, in Brasile, nelle Filippine, in Giappone, in Malesia, a Singapore, in Thailandia, dove finalmente si fermò e si sposò, mise su famiglia. E’ morto a Chiang May, la seconda città tailandese, nel giorno di Pasqua del 2004. Aveva da poco compiuto 80 anni. Nacque, dunque a Erba nella frazione Incasate che, nel 1924 era ancora un rione di Cassina Mariaga, paese poi entrato a far parte di Erba per ordine di Mussolini. Ha studiato a Como al collegio Gallio. E’ rimasto orfano di ambo i genitori quando aveva appena 15 anni. Fu accolto in casa dal fratello maggiore che lo fece studiare per qualche anno. Ma già lo spirito avventuriero ed indipendente di questo bel ragazzo, simpatico ed estroverso, stava facendosi forte. E fu così che Renato volle andare volontario in Marina. Aveva 17 anni quando arrivò alla ‘Scuola della Marina’ di Pola. Quando scoppiò la guerra era già imbarcato sull’incrociatore Fuciliere. Era furiere di bordo. Partecipò a parecchie missioni, nel Mediterraneo ed anche in Estremo Oriente. All’8 Settembre fu preso dai tedeschi e portato in un campo di concentramento a Stettino in Polonia. Aderì a Salò e rientrò. Entrò nella Monte Rosa. Operava sulle montagne sopra ad Arona. Con un’ intera compagnia passò con i partigiani ed entrò nella Repubblica della Valdossola dove si distinse in varie operazioni, tanto da ottenere un attestato di benemerenza da parte di uno dei comandanti che era Giancarlo Pajetta.
Quando tutto finì però si ritrovò con niente in mano. Infatti quando si presentò a La Spezia la Marina non gli riconobbe ruoli, né gradi, tanto meno anzianità. E così Renato diede una pedata alla Marina. Conservò però sempre il berretto con il nome della sua nave. Il fratello maggiore gli trovò un posto agli ‘Stabilimenti di Pontelambro’. Vi rimase tre giorni poi combinò con alcuni amici per andare in Svizzera a lavorare. Fece per molti mesi lo sguattero in un hotel di lusso a Wengen. Ma era un tipo sveglio e si diede da fare parecchio per imparare a fare il cuoco. Vi riuscì. Poi misteriosamente, senza preannunciare nulla ai parenti rimasti a Erba, si diede da fare un’altra volta – questa con l’aiuto di una bella ragazza dell’ambasciata brasiliana a Berna – per andarsene. La meta fu il Brasile. Nel 1949 era già un cuoco di brigata in un grande albergo di Rio de Janeiro, proprio davanti a Copacabana. Poi andò a Curitiba dove impiantò, con amici, una fabbrichetta per la produzione della pasta. Tornò poi improvvisamente a fare il cuoco in grandi alberghi. Tenne sempre stretti collegamenti epistolari con i parenti di Erba che erano informati, sempre a cose fatte, dei suoi movimenti.
Nell’estate del 1954 i parenti ricevettero, con grande sorpresa una sua cartolina da Città del Capo. poche settimane dopo un’altra da Singapore, poi un’altra ancora da Manila. A casa non sapevano più cosa pensare. Poi finalmente ai parenti giunse una lettera. Renato diceva di aver deciso di lasciare il Brasile. Non spiegava bene i motivi, ma si intuiva che aveva avuto delle difficoltà economiche essendo stato raggirato da alcuni non ben definiti soci in affari. Tanto che aveva deciso di andarsene dopo aver preso dei contatti con amici che lavoravano in alberghi dell’Estremo Oriente. E così aveva trovato lavoro come cuoco in un grande albergo di Manila. Nella seconda metà degli anni Cinquanta Renato girò parecchio nel Sud Est asiatico, lavorando sempre come cuoco, prima, poi come ‘chef’ di cucina in alberghi di Manila, di Tokio, Macao, Hong Kong, Singapore e in Malesia. Sembrò poi fermarsi a Pattaya la famosa, in quei tempi, spiaggia della Thailandia. Lavorò anche a Bangkok dove frequentò anche una scuola ad alto livello per diventare ‘maitre d’hotel’. Nei primi anni Sessanta si spostò nel Nord della Thailandia, a Chiang May dove si sposò. Conobbe una ragazza di Lampang, la città dove si dice ci siano le più belle ragazze del Siam. Combinò con la sua famiglia e la sposò con rito buddista. Si chiamava (c’è ancora) pressappoco Buacian, che vuol dire ‘goccia di rugiada su un petalo del loto al chiaro di luna’. Per tagliare corto, lui la chiamava Noy. Intanto lavorava come ‘maitre’ al RinkOme Hotel, famoso albergo di Chiang May. La coppia ebbe tre figli, due maschi e una bambina, tutti con nome italiano: Cesare, Alessandro ed Elena. Cesare ha studiato dai frati del Pime (presenti in Thailandia e con i quali Renato è stato sempre in contatto) ed è cattolico. Fa il pilota di aerei della compagnia tailandese. Il secondo lavora nell’informatica, la ragazza è in casa con la mamma.
Intanto Renato pensò bene di abbandonare il lavoro alle dipendenze per mettersi in proprio. Aprì a Chiang May un ristorante italiano che ha cominciato subito ad essere molto frequentato dai turisti italiani ma anche da personalità della città
Renato tornò a Erba parecchie volte, la prima 19 anni dopo essere andato via. Poi arrivava con la frequenza di una volta ogni tre o quattro anni. Ha portato anche la moglie e i figli. Cesare, detto Cesarino, ha studiato per tre anni a Milano e a Stresa frequentando scuole alberghiere. La mira del padre era di farne un grande cuoco. Lui però quando tornò a casa si iscrisse all’università e divenne ingegnere. Poi scelse di fare il pilota. Una volta che Renato tornò a Erba e si trovava in un bar a Longone al Segrino, incrociò lo sguardo di un altro avventore. I due si guardarono un po’ e poi si riconobbero: ‘Tel chi el Scannagatta’, ‘Tel chi el Magni’. E cominciarono a piovere ricordi su ricordi. L’ultima volta che si erano visti era stato nel ’42 dalle parti dello stretto della Malacca.. Erano su navi diverse ma ancorate nello stesso porto.
Quando ormai Renato era nel suo frequentatissimo ristorante che si chiama ‘Babilon’ ed era tutto pieno di bandiere tricolori, parlava correttamente sei lingue, compreso il ‘thay’. Talvolta gli toccò anche di fare l’interprete quando la polizia locale arrestava ragazzi italiani trovati in possesso di qualche grammo di eroina. Lui fece molto per aiutare questi giovani e le loro famiglie che trovarono nel ristorante italiano del Renato una base , un recapito, tanto conforto. Aiutò parecchio anche i tanti ragazzi italiani e svizzero ticinesi che andavano a prendersi come moglie una delle stupende ragazze ‘thay’. Parlava sei lingue ma non dimenticò mai il dialetto brianzolo. Quando si arrabbiava con i suoi cuochi e camerieri, inveiva in dialetto usando tutte le locuzioni tipiche. Ogni tanto riprendeva a viaggiare, questa volta però per ‘tornare alla base’ E’ stato in Russia, in India parecchie volte negli Stati Uniti, oltre che in Italia e in Europa. Ha fatto davvero per alcune volte il giro del mondo. Ormai con molte “anta” sulle spalle, gli piaceva tanto raccontare della sua vita, dei personaggi ai quali aveva ‘fatto da mangiare’. In particolare si ricordava di Ursula Andress. ‘Che donna –diceva- aveva solo un difetto. Non era mai contenta delle pietanze che le preparavo’. Durante la guerra in Vietnam, lui era a Pattaya. E lì capitavano sempre tanti giornalisti italiani che trascorrevano qualche giorno di riposo dopo essere stati sul fronte. Qualcuno si ricordò di lui quando si sposò e sui giornali e le riviste italiane apparvero alcuni articoli e servizi fotografi su ‘quel cuoco italiano che ha portato il meglio della cucina italiana nel cuore del Siam’.
Negli ultimi anni ha sofferto di qualche grave malanno dovuto anche alla sua vita trascorsa in climi torridi e condizioni sempre assai diversi fra loro. Se n’è andato serenamente confortato dalla moglie e dai figli che gli erano vicini. Certamente ha chiuso gli occhi con un pensiero alla sua Italia, alla sua Erba. Pochi giorni prima aveva telefonato al nipote a Erba per salutare. Ha avuto un funerale religioso ed è stato sepolto cristianamente nel piccolo cimitero cattolico di Chiang May.
Emilio Magni